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Rivista di etica e scienze sociali / Journal of Ethics & Social Sciences

pdfL’insediamento di Michelle Bachelet, pri-ma donna presidente nella storia del Sudamerica, ha acceso i riflettori sul Cile, mio paese. Per chi conosce l'andamento della economia internazionale e dell'America Latina in particolare, il Cile è attual-mente sinonimo di successo economico, dal punto di vista della crescita economica e dello sviluppo istituzionale e sociale.

Tutto il bene che si dice del nostro Paese viene riversato su ogni cittadino cileno che lascia il suo paese ed attraversa l’oceano: tale è la mia situazione di giornalista e -per il momento- studente di post laurea in Italia. L’obbiettivo di questo articolo è mostrare grosso modo il processo di modernizzazione economica, istituzionale e sociale del Cile nell’ attuale contesto di globalizzazione, con una particolare attenzione sulla principale sfida che ancora deve risolvere la società locale: l'equa distribuzione del reddito. Mi rifarò in particolare alla visione di questo problema sociale secondo il pensiero sociale della Chiesa cilena.

Per cominciare voglio descrivere lo scenario in cui si è sviluppato il Cile. Negli ultimi 26 anni l'economia nazionale è diventata un modello di economia aperta al mondo, grazie alla ferma politica macroeconomica sviluppata negli anni ottanta. Suo principale scopo è stato di stabi-lizzare l'inserimento del paese nei mercati mondiale dei capitali, del lavoro e dei beni, ovvero di parte-cipare alla cosiddetta globalizzazione. Così, le autorità del paese hanno scelto un modello che interagisce con il mondo attraverso l’esportazione che è diventato il primo pilastro della economia cilena, rappresentando oltre il 30% del Prodotto interno lordo (PIL).

In questo senso, dal punto di vista macro, l’economia cilena di libero mercato è la più sana e solida dell’America Latina. Fin dal 1987 la media annua della crescita del PIL è del 6%, mentre la media dell'inflazione non supera il 4%. Allo stesso tempo durante il periodo 1990-2005, la spesa pub-blica è aumentata di oltre il 200%, la crescita media della produttività è stata del 4,4%, quella del livello dei salari del 3,3%, mentre il debito dello Stato è uno dei più bassi al mondo (circa l’8% del PIL).

Sotto questa forte e sostenuta crescita economica la società cilena è diventata più ricca. Il reddito pro capite – ovvero il PIL per ogni abitante- è al primo posto dell'America Latina, poiché ogni cileno guadagna in un anno circa 7.200 dollari nominali, che aumentano a 12.272 dollari se misu-riamo il PIL a parità del potere d’acquisto (PPA) ovvero il livello dei prezzi che esistono nella sua economia riferiti ad un determinato paniere di beni. Ciò vuol dire che le offerte dei beni e servizi disponibili nella economia cilena è buona e mantiene un certo equilibrio di prezzi rispetto al resto del mondo. Così ad esempio se la media degli stipendi in Cile è di 500 euro, con questo salario è possibile acquisire una maggiore quantità di beni rispetto al mercato italiano.

La comunità internazionale si rende conto di questa situazione e riconosce il Cile come paese leader dell'America Latina in termini di sviluppo economico, istituzionale e umano. Ad esempio, nel campo economico il Cile occupa il primo posto nella regione riguardo alla libertà economica, com-petitività e competitività per lo sviluppo. E’ l’am-biente migliore per realizzare investimenti e affari economici viste anche le migliori infrastrutture di trasporto e di telecomunicazione.

In materia di progresso istituzionale e umano, il Cile è al primo posto nel ranking dello sviluppo democratico latinoamericano, della qualità di vita, della percezione di trasparenza. Riferito a quest’ultimo punto, secondo il rapporto di Transparency international, il Cile è il paese latino- americano con il minore livello di corruzione nelle sue istituzione e anche al primo posto riguardo diritti politici e libertà civile secondo il ranking realizzato dall’organismo internazionale Freedom House che monitora il rispetto di varie garanzie da parte degli Stati per i propri cittadini. Esiste dunque una ottima valutazione dei meccanismi di funzionamento del Paese, dovuto alle costanti riforme dell’amministrazione pubblica, in campo tributario, giudiziario, educativo, sanitario e delle politiche di welfare.

Nella Costituzione di 1980 fu stabilito che lo sviluppo cileno dovesse rispondere al seguente principio: lo Stato deve intervenire solo dove e quando la famiglia e il mercato non riescono a provvedere beni e servizi necessari ad una vita dignitosa. Questa premessa ha permesso di focalizzare le politiche sociale nei campi della educazione, sanità, previdenza e assistenza sociale.

Il tasso di povertà della popolazione cilena (16 milioni d’abitanti) si ha ridotto fin dal 38% nel 1990 fino al 18% nel 2003; ciò significa che attualmente circa 3 milioni di cileni vivono in uno stato di povertà relativa che possiamo definire come la limitata possibilità di acquistare beni o servizi basandoci sulla spesa mensile media delle famiglie.

Altri esempi dell’efficienza delle politiche sociali cilene sono il basso livello di analfabetismo in Cile che è il minore di America Latina con un 4%, e la speranza di vita che è la maggiore della regione e raggiunge i 77 anni. Il Cile è anche al primo posto in Sudamerica rispetto ai livelli d’accesso ai servizi basici per la popolazione: la copertura dell’acqua potabile nelle zone urbane raggiunge il 99,7%, mentre la copertura fognaria è del 94%.

Rispetto ad altri indicatori sociali il Cile occupa il secondo posto nella disponibilità di politiche per combattere la povertà e per lo svi-luppo umano, e si situa al terzo posto rispetto al livello di sanità per le madri.

A questo punto, esaminando gli ottimi livelli di crescita economica e gli indicatori di sviluppo istituzionale e umano del Cile, possiamo dire che il paese si trova davanti alle porte dello sviluppo. Certamente la prospettiva di essere una società sviluppata vanno al di là delle cifre econo-miche e quantitative. Ce lo dicono altri indicatori come la libertà di stampa (il Cile è al quinto posto in America Latina), la sostenibilità ambientale (nono), e soprattutto la distribuzione del reddito (tredicesimo).


Attualmente la differenza fra il gruppo con maggiore reddito monetario e il gruppo sociale più povere nel Cile è di quattordici volte. Il 20% della popolazione cilena più ricca riceve il 56,5% della ricchezza generata dal PIL, mentre il 20% più povero guadagna il 3,9% del reddito globale del paese. E il rapporto aumenta ad oltre 34 se pren-diamo il reddito del 10% più ricco della società (che riceva 41,2% del PIL) contro il 10% più povero il 1,2%.

L’equilibrio fra crescita economica, sviluppo e distribuzione equa della ricchezza non è stato dunque ancora raggiunto per la società cilena. La questione è seriamente affrontata da parte dello Stato, delle organizzazioni imprenditoriali e della società civile che hanno prodotto centinaia di docu-menti, studi e realizzato politiche pubbliche, ma la sfida è completamente diversa dalla visione econo-micista.

Qui arriviamo al ruolo che gioca in Cile la dottrina sociale della Chiesa Cattolica. Possiamo certamente dire che il peggioramento nella distri-buzione della ricchezza è un fallimento microeco-nomico del mercato, ma parlando di persone, il problema acquista una natura più complessa. Il vero rischio dietro la disuguaglianza è la frattura sociale che si crea intorno all’accesso alle pari opportunità, producendo un deficit di solidarietà che affetta negativamente l’etica sociale delle persone.

Da questo punto di vista possiamo capire la preoccupazione della Chiesa cilena. La massima autorità religiosa del paese, il Cardinale di Santiago, Francisco Javier Errazuriz ha così sotto-lineato che la distribuzione del reddito del Cile è scandalosa: “Che ci ispiri la verità del recente compendio della Dottrina Sociale della Chiesa: il destino universale dei beni comporta un sforzo in comune indirizzato a ottenere per ogni persona e per tutti i popoli le condizione necessarie di un sviluppo integrale, in maniera che tutti possano contribuire alla promozione di un mondo più umano”.

Questo è l’obbiettivo della dottrina sociale della Chiesa di fronte a una diagnosi piuttosto negativa: sulla base dei dati del Programma di Sviluppo Umano delle Nazione Unite, l’area sociale della Conferenza episcopale del Cile ha evidenziato il collegamento fra differenze di reddito e peggio-ramento della fiducia nei rapporti sociale. Così il 63% dei cileni più poveri pensa che le persone con un maggiore potere d’acquisto vuole approfittarsi di loro; il 65% ritiene che la sua opinione non è presa in considerazione dalla società e il 37% si sente emarginata.

Alla luce di questa realtà la Chiesa cilena ha concluso la necessità di approfondire il proprio ruolo sociale nella società attraverso una “maggiore comprensione del senso che hanno le mutazioni sociali del Cile, riprendendo il livello di pratica e rappresentazione della dimensione sociale del van-gelo e la scelta per i poveri, e aumentando la di-mensione comunitaria attraverso la valutazione dei vincoli sociali, quali la fraternità, e la parteci-pazione per una convivenza in pace”.

In questo senso, la proposta per migliorare la distribuzione del reddito nel Cile deve riconoscere un punto riguardante tutta società: il riconoscimento della vuoto etico per la soluzione di un problema concreto. Infatti la Chiesa punta alla responsabilità sociale dei cittadini riguardo alla povertà. Come diceva Giovanni XXIII: “La prospe-rità economica di un popolo consiste, oltre che nella quantità dei beni, nella giusta distribuzione degli stessi”.

A giudizio della Chiesa cilena, la disugua-glianza sociale attenta alla coesione sociale della comunità che si deve costruire sulla base della giustizia. Come ha affermato Benedetto XVI la giustizia è un problema che concerne la ragione pratica, “ma per realizzare giustamente la sua funzione la ragione si deve purificare costantemente, perché la sua cecità etica, che deriva della preponderanza dell’interesse e il potere che l’abbagliano, è un pericolo che mai si può scontare totalmente”.

In conclusione questo è il mandato che abbiamo noi, umanisti cristiani, intorno ai dibatti sugli aspetti etici della distribuzione della ricchez-za: partendo da quello che ci dice il pensiero sociale della Chiesa, superare la cecità etica e abbandonare l’arroganza proprie delle passione ideologiche e le tentazione tecnocratiche che tendono a dividere le attitudine fra i cosiddetti liberali e conservatori. In questo senso, l’etica ci parla di andare modes-tamente al discernimento del bene comune. L’esempio del Cile può servire per illuminare quello spazio vuoto del rapporto fra crescita econo-mica e il completo sviluppo sociale del paese.

Ranking Autore data   Paesi Posto.(1) Posto.(2)
Sviluppo Democratico latinoamericano Fondazione K. Adenauer 2005 18 1
Povertà umana UNDP 2005 103 2
Libertà economica The Wall Street Journal 2005 155 11
Stato delle madre Save the Children 2005 110 17
Competitività IMD internazionale 2005 60 19
Percezione di trasparenza Trasparency International 2005 159 20
Libertà economica Istituto Fraser 2005 127 20
Competitività per lo Sviluppo World Economic Forum 2005-6 117 23
Telecomunicazioni World Economic Forum 2005-6 115 29
Qualità mondiale di vita The Economist 2005 111  31
Globalizzazione A.T. Kearney/Foreign Policy 2005  62   34
Sviluppo umano UNDP 2005 177   37
 Sostenibilità ambientale  Università di Yale 2005   146  42
 Libertà di stampa  Giornalisti senza frontiere 2005 167   50 5° 
 Distribuzione del reddito  UNDP 2005  124  113 13°

(1) Posto del Cile rispetto al totale di paesi nel ranking.pdf

(2) Posto del Cile rispetto ai paesi d’America Latina.

 

 

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